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![]() PARTITO DEMOCRATICO (Democratic Party). Uno dei due maggiori partiti politici degli Usa che dalla metà dell'Ottocento si è alternato al potere con il Partito repubblicano. Benché questi due grandi partiti non si differenzino in funzione di ideologie compiutamente definite, sono tuttavia portavoce di diversi gruppi di interesse (vedi lobby) e di soluzioni differenti a singoli problemi concreti. Tradizionalmente la base politica del Partito democratico si compone di una coalizione instabile di conservatori negli stati del sud, di liberal nei centri urbani del nordest e della California e di populisti in alcune città e aree rurali del Midwest. Di orientamento più progressista di quello repubblicano, il Partito democratico fu spesso definito il partito dell'uomo comune, per aver promosso un crescente egualitarismo e soppresso speciali privilegi. Viene ritenuto inoltre un acceso oppositore del mondo degli affari, per le lotte condotte dai presidenti A. Jackson (1829-1837) contro la Banca degli Stati Uniti, da W.T. Wilson (19131921) contro i trust e da F.D. Roosevelt (1932-1945) contro alcuni settori del capitalismo finanziario. Tale definizione tuttavia nasconde l'appoggio che in periodi diversi della loro storia i democratici ricevettero dalle componenti più dinamiche del capitalismo americano e, soprattutto al sud, dalle correnti più conservatrici della società. LE ORIGINI JEFFERSONIANE. Il partito affonda le radici nel Partito democratico-repubblicano formatosi nel gruppo dei sostenitori di T. Jefferson (1743-1826). Difensori dei diritti dei singoli stati e ostili a un rafforzamento del potere federale richiesto dai "federalisti" di A. Hamilton (1755-1804), i repubblicani-democratici rappresentavano gli interessi del mondo agricolo degli stati del sud (i piccoli agricoltori e i piantatori schiavisti) che auspicavano una politica liberista in campo economico e si opponevano alle misure protezionistiche, attuate da Hamilton per favorire lo sviluppo delle attività manifatturiere degli stati del nord. In politica estera erano filofrancesi e fu proprio il sostegno dato alla rivoluzione francese a inasprire il contrasto con i federalisti. L'elezione di Jefferson alla presidenza nel 1800 provocò la scomparsa dei federalisti, la cui linea politica riemerse però nei decenni successivi. Durante l'amministrazione di T. Jefferson (1801-1809) e poi di James Madison (1809-1817) e James Monroe (1817-1825), furono ampliati i confini degli Stati Uniti (acquisto della Louisiana nel 1803 e della Florida nel 1819) e iniziò il popolamento e la colonizzazione delle terre dell'ovest. La coalizione tra pionieri dell'ovest e agrari del sud determinò l'elezione alla presidenza di Andrew Jackson (1829-1837). Con lui venne compiutamente praticato il "sistema delle spoglie" (spoils system) in base al quale il presidente eletto sostituisce i funzionari della precedente amministrazione con persone che ne hanno sostenuto la campagna elettorale. Nelle elezioni del 1832, che videro per la prima volta contrapposti il Partito democratico e il Partito repubblicano nazionale si opposero candidati scelti per la prima volta con il sistema pubblico della Convenzione nazionale. LA QUESTIONE DELLA SCHIAVITÚ. Il Partito democratico dominò la scena fino al 1860 quando si divise sulla questione della schiavitù tra nordisti e sudisti, rendendo possibile la vittoria del candidato repubblicano A. Lincoln. Tra il 1860 e il 1912 l'unico presidente democratico fu S.G. Cleveland (1885-1889 e 1893-1897). Nel periodo successivo alla guerra civile americana (1861-1865) al sud il partito si schierò con l'elettorato bianco uscito immiserito dal conflitto. Questa posizione fu sostanzialmente mantenuta fino al 1948 quando il presidente H. Truman (1945-1952) abbracciò in modo programmatico la causa dei diritti civili. Durante l'amministrazione di W. Wilson (19131921) vi fu un rilancio delle istanze democratiche (leggi antimonopolistiche, abbassamento delle tariffe doganali, abbandono del tradizionale isolazionismo), cui tuttavia fece seguito il programma isolazionista in campo politico e commerciale dei successivi presidenti repubblicani. Ma la crisi del 1929 segnò la sconfitta della politica di non intervento in economia e inaugurò un periodo di supremazia democratica. IL NEW DEAL. Con l'avvento alla presidenza di F.D. Roosevelt (1933-1945) e il suo New Deal, vennero attuati per la prima volta quelli che in seguito divennero i capisaldi delle convinzioni democratiche: l'intervento dello stato nel mercato per controllarne e regolarne i meccanismi e il ruolo attribuito al governo federale quale diretto garante nella risoluzione dei problemi sociali. Dal 1932 i democratici detennero generalmente la maggioranza in entrambe le camere del Congresso e tuttavia i presidenti democratici non sempre poterono contare sull'appoggio congressuale, in particolare per il ruolo conservatore sostenuto dai democratici del sud. Nel 1948 queste forze, contrarie all'impegno programmatico del partito sui diritti civili, diedero vita al gruppo dei Dixiecrats (da Dixi, nomignolo per gli stati del sud, e democrat). Nel 1968 un gruppo di oppositori sudisti, guidato dal governatore dell'Alabama George Wallace, acceso segregazionista, portò a una spaccatura nel movimento democratico. Nel corso degli anni settanta e ottanta il partito sostenne con particolare rilievo i movimenti per i diritti delle minoranze e richiese un rafforzamento degli interventi federali nei settori dell'assistenza sociale e sanitaria e in quello dell'istruzione. Tali politiche furono avanzate dal programma di politica interna della "nuova frontiera" del presidente J.F. Kennedy (1961-1963) e realizzate all'interno del programma della "grande società" di L.B. Johnson (1963-1969), soprattutto attraverso il Civil Right Act (1964) e il varo di importanti leggi sociali. Durante le amministrazioni repubblicane di Ronald Reagan (1981-1989) e di George Bush (1989-1993), il Partito democratico subì una grave battuta di arresto e l'abbandono di una parte del suo elettorato (tra cui importanti settori della classe operaia). Ciononostante rimase il partito nazionale di maggioranza (secondo i sondaggi, dal 1960 al 1984 il 40-46% dei votanti si considerava democratico mentre il 22-29% repubblicano), sostenuto dai giovani, dalle donne, dai neri, dalle minoranze, dai gruppi di recente immigrazione e da una parte considerevole degli intellettuali. Fu questa la coalizione che nel 1992 riportò alla vittoria il democratico Bill Clinton, eletto presidente con il 43% del voto popolare. E. Maranzana ![]() W.N. Chambers, W.D. Burnham (a c. di), The American Party System, New York 1975 (1967); J.L. Sundquist, Dynamics of the Party System: Alignment and Realignment of Political Parties in the United States, Brookings Institution, Washington 1973; M. Vaudagna (a c. di), Il partito politico americano e l'Europa, Feltrinelli, Milano 1991; S. Volterra, Sistemi elettorali e partiti in America, Giuffrè, Milano 1963. |
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